La Storia è ricca di esempi: Re, Sultani, Scià hanno ripudiato le proprie mogli la cui unica colpa era quella di non mettere al mondo un erede al trono.
Mai nel passato si era sfiorati dal dubbio che anche l’elemento maschile poteva essere determinante nella infertilità della coppia.
Questo concetto, a fatica, tra le smagliature della rete di protezione maschilista tessuta nei millenni, è cominciato ad affiorare ed ora è universalmente accettato che, in caso di mancata procreazione, il percorso diagnostico-terapeutico deve coinvolgere entrambi gli elementi della coppia.
Che cosa si intende per infertilità?
Secondo le linee guida della EAU (Associazione degli Urologi Europei) essa rappresenta l’incapacità di una coppia, sessualmente attiva e che non adotta pratiche contraccettive, ad avere una gravidanza nell’arco di un anno. La prima cosa che bisogna accertare, e sembrerebbe ovvio (purtroppo non sempre lo è), è che la coppia deve essere sessualmente attiva e che non pratichi, nemmeno saltuariamente manovre o terapie che possono impedire una gravidanza. Ad esempio una terapia antibiotica condotta per un lungo periodo, può diminuire la capacità fecondante del liquido seminale.
Ciò che deve essere chiaro è che, per dichiarare una coppia infertile, l’intervallo di tempo deve essere minimo di un anno. Sapendo ciò non si avrebbero tante ansie e paure, a volte dopo non appena un mese di rapporti non protetti. Della diagnosi di infertilità maschile ce ne occuperemo in un prossimo numero. Oggi va affrontato il perché se ne parla tanto soprattutto correlandolo al calo notevole della natalità.
Un primo dato è che le coppie molto fertili, per scelta (legata a stile di vita, condizioni economiche etc.), decidono, contrariamente a quanto avveniva nel passato, di avere un solo figlio. Ancora, e questo forse è il dato più importante ci si sposa e/o si programma una gravidanza in età più avanzata.
Al di là dei rischi connessi, soprattutto se una donna è ultra quarantenne, molte patologie dell’apparato genitale maschile che in età giovanile non hanno la possibilità di una manifestazione clinica, soprattutto dopo i 30 – 35 anni possono essere decisivi nel determinare una diminuzione della fertilità.
Stiamo parlando ad esempio del varicocele, prostatiti, flogosi croniche delle vie seminali etc.. Ancora, e queste sono acquisizioni recentissime, si possono verificarre danni della struttura dei cromosomi sessuali come le microdelezioni, che in una prima fase della vita non si manifestano e solo con il passare degli anni possono essere evidenziate giustificando quel peggioramento ingravescente della qualità del liquido seminale che può portare all’assenza di spermatozoi (azospermia).
A tutto questo va aggiunto, anche se non è stato scientificamente ed universalmente dimostrato, che l’alimentazione delle popolazioni molto sviluppate con utilizzo di prodotti potenzialmente tossici presenti negli alimenti di base ( antiparassitari, pesticidi, disserbanti e gli stessi ormoni ed antibiotici largamente usati in zootecnia), ha determinato una diminuzione dell’indice di fertilità del liquido seminale. Anche lo stile di vita (stress da super-lavoro ad esempio) e l’inquinamento atmosferico contribuiscono sicuramente a far peggiorare le cose. Da tutto ciò risulta chiaramente come l’infertilità maschile anche se presente ma sottovalutata nel passato, sicuramente può essere definita una patologia emergente dei nostri giorni nei confronti della quale non sempre, nonostante le numerose e recenti scoperte scientifiche, gli andrologi riescono vittoriosi.